

LA NOSTRA STORIA: CURIOSITA'
L'attuale presidente dell'Associazione "Un Muro d'Amare" è il dott. Carmine Sarcinella.I soci sono circa 20 e moltissimi i simpatizzanti. Il logo dell' Associazione
è stato realizzato da Francesca Frassino e rappresenta la nostra città racchiusa in un cuore, circondata da vegetazione che simboleggia la natura, e trainata da una cicogna nera (specie molto rara in Italia) avvistata per la prima volta a Muro Lucano proprio da noi di "Un Muro d'Amare".


SIC: APPROFONDIMENTO
In ambito ambientalistico il termine è usato per definire un'area:
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che contribuisce in modo significativo a mantenere o ripristinare una delle tipologie di habitat definite nell'allegato 1 o a mantenere in uno stato di conservazione soddisfacente una delle specie definite nell'allegato 2 della direttiva Habitat;
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che può contribuire alla coerenza della rete di Natura 2000 ;
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e/o che contribuisce in modo significativo al mantenimento della biodiversità della regione in cui si trova.
Secondo quanto stabilito dalla direttiva, ogni stato membro della Comunità europea deve redigere un elenco di siti (i cosiddetti pSIC, proposte di siti di importanza comunitaria) nei quali si trovano habitat naturali e specie animali (esclusi gli uccelli previsti nella direttiva 79/409/CEE o direttiva Uccelli) e vegetali. Sulla base di questi elenchi, e coordinandosi con gli stati stessi, la Commissione redige un elenco di siti d'interesse comunitario (SIC). Entro sei anni dalla dichiarazione di SIC l'area deve essere dichiarata dallo stato membro zona speciale di conservazione (ZSC). L'obiettivo è quello di creare una rete europea di ZSC e zone di protezione speciale (ZPS) destinate alla conservazione della biodiversità denominata Natura 2000.
In Italia la redazione degli elenchi SIC e ZPS è stata effettuata a cura delle regioni e delle province avvalendosi della consulenza di esperti e di associazioni scientifiche del settore. Tutti i piani o progetti che possano avere incidenze significative sui siti e che non siano non direttamente connessi e necessari alla loro gestione devono essere assoggettati alla procedura di valutazione di incidenza ambientale.
Tratto da Wikipedia
SANTUARIO DELL'ACQUA: APPROFONDIMENTO
Gli acquiferi carsici rappresentano un’importantissima risorsa idrica in moltissime regioni della Terra: i terreni carsici, infatti, sono, per loro stessa natura, privi di acque superficiali, e tutta la circolazione idrica avviene in profondità. Si tratta, però, di risorse molto delicate da utilizzare e da proteggere. Gli acquiferi carsici, infatti, per alcune loro caratteristiche, sono particolarmente vulnerabili agli inquinamenti e all’eccessivo sfruttamento. Un utilizzo eccessivo e incontrollato delle riserve delle zona sature profonde può essere un pericolo per questo tipo di acquiferi: le acque profonde, infatti, a volte si muovono molto lentamente e richiedono anni o decenni per essere sostituite e un emungimento eccessivo può compromettere per sempre lo sfruttamento dell’intero acquifero. Ma è soprattutto nei riguardi della propagazione di sostanze inquinanti che gli acquiferi carsici appaiono particolarmente vulnerabili. In una sabbia o una ghiaia, dove le velocità delle acque sono molto lente, il contatto prolungato dell’acqua con la roccia fa sì che le acque possano essere depurate da eventuali inquinanti, sia per effetto di filtro meccanico, sia per naturale degrado di alcune sostanze con il tempo, sia per l’azione di colonie di batteri che vivono sulla superficie dei granuli. Questi processi fanno sì che molti inquinanti, soprattutto quelli organici, vengano eliminati dall’acquifero stesso, con un meccanismo di autodepurazione che contribuisce a proteggere la falda acquifera dagli inquinamenti. Nella zona più superficiale di un acquifero carsico, le acque si muovono a velocità elevate, paragonabili a quelle di un corso d’acqua superficiale, e l’effetto di autodepurazione è praticamente nullo: quello che entra in un acquifero carsico, quasi sempre esce immutato alla sorgente, spesso in brevissimo tempo. Nella zona satura profonda, invece, dove la circolazione è molto lenta, le sostanze inquinanti si possono raccogliere e depositare, concentrandosi. Successivamente,il particolare meccanismo di propagazione delle piene, per pistonaggio, può provocare la fuoriuscita istantanea e concentrata di un eventuale inquinante, che si è magari accumulato lentamente nel corso degli anni. Spesso questi episodi di inquinamento istantaneo appaiono inspiegabili, perchè non si riesce ad individuare alcuna fonte di inquinamento attuale: piccole quantità di inquinanti, ben tollerabili da altri tipi di acquiferi, divengono così potenzialmente assai pericolose per un acquifero carsico. Purtroppo le aree carsiche hanno un’altra caratteristica che le rende ancora più vulnerabili: la presenza, nella zona di assorbimento, di una grande quantità di depressioni, inghiottitoi, pozzi e doline sembra ideale per farne delle comode discariche dove occultare tutto ciò che non serve più, a volte anche materiali assai pericolosi. Troppo spesso si dimentica, o si finge di non sapere che in questo modo si inquina l’intero sistema carsico. Poichè non sempre è noto il punto di risorgenza delle acque carsiche, l’inquinamento prodotto nella zona di assorbimento può andare ad inquinare sorgenti distanti anche diversi chilometri, addirittura in valli adiacenti: il malcostume di chi vive nelle zone a quote più alte può causare a volte gravi problemi agli ignari abitanti del fondovalle. La conoscenza degli acquiferi carsici è ancora tanto scarsa, purtroppo, che fino a pochi anni addietro è stato persino proposto di utilizzare le grotte per lo stoccaggio di rifiuti tossici e radioattivi!
Tratto da Eni Scuola

CICONIA NIGRA: SCOPRI DI PIU'
Ordine: Ciconiiformes Famiglia: Ciconiidae
La Cicogna nera è un uccello dalle dimensioni notevoli: solo leggermente più piccola della “cugina” Cicogna bianca, può raggiungere i 3 kg di peso, per una lunghezza di poco inferiore al m e un’apertura alare in grado di raggiungere anche i 200 cm. Risaltano le lunghissime zampe rosse, e rosso anche è il becco, e il contorno degli occhi. Nero è invece il piumaggio, contrastato da sfumature più chiare sul ventre, dove spiccano alcune piume biancastre.
Rarissima in tutta Europa, la Cicogna nera è ancor più rara in Italia, dove nidifica stabilmente solo da poco più di 15 anni. Pochissime, peraltro, le coppie censite, principalmente concentrate in Piemonte, mentre più di recente sono state accertate nidificazioni anche più a sud, tra Lazio, Basilicata e Calabria.
Specie prevalentemente forestale, la Cicogna nera predilige boschi maturi e poco disturbati, con ampia presenza di corsi d’acqua, stagni, paludi, praterie umide. Una specie dalle esigenze ecologiche particolarmente complesse, dunque, che necessità di grandi alberi – e occasionalmente pareti rocciose – per nidificare, e allo stesso tempo di vasti ambienti umidi in cui procacciarsi il cibo, costituito prevalentemente da pesci, anfibi e rettili.
A parte il modestissimo contingente italiano, la specie è presente – con una distribuzione comunque limitata – nell’Europa occidentale, e segnatamente nelle porzioni centrali e orientali della regione iberica, che ospitano le popolazioni più importanti. In Europa centro-orientale la Cicogna nera si comporta come migratore, mentre le popolazioni spagnole denotano un comportamento più sedentario. L’Italia, che per molti individui rappresenta solo un luogo di passaggio per raggiungere i quartieri di svernamento, vede negli ultimi anni una presenza sempre più consistente di individui svernanti.
Tratto da UCCELLIDAPROTEGGERE.IT

NELLE RIPE E' ANCHE PRESENTE IL DIANTHUS RUPICOLA
È una pianta perenne camefita suffruticosa, alta fino a 40 cm.
Il fusto, legnoso alla base, ha foglie verde-glauco, raccolte a rosetta alla base e ad inserzione distanziata sul fusto.
I fiori, di colore rosa intenso, hanno un calice quasi cilindrico, ricoperto alla base da squame verdi.
Fiorisce da maggio a settembre.
D. rupicola figura tra le specie di importanza comunitaria incluse nell'Allegato II della Direttiva Habitat (Dir. n. 92/43/CEE) relativa alla "Conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche”, adottata dal Consiglio delle Comunità Europee il 21 maggio 1992.
IL PIU'GRANDE GIACIMENTO DI PETROLIO IN TERRA FERMA
Nel sottosuolo italiano anche noi abbiamo riserve di petrolio onshore, cioè su terraferma: siamo il quarto produttore dopo la Danimarca. Secondo alcune stime, solo la Basilicata dispone di riserve dai 600 milioni a 1,4 miliardi di barili. In questa regione di boschi e monti e colli fin giù nella valle dell’Agri spicca, il centro oli più grande di Italia. La produzione complessiva è stata – nel 2013 – pari a circa 112 mila barili al giorno, pari solo al 7,4 per cento della relativa domanda interna. Nel corso del 2018, tale produzione giornaliera potrebbe salire fino a circa 154 mila barili al giorno con l’entrata in funzione del giacimento “Tempa Rossa” della Total. Al momento, la maggioranza delle risorse petrolifere nazionali proviene essenzialmente dal giacimento della Val d’Agri, il più grande campo on-shore in Europa. L’Eni è operatore della concessione val d’Agri. La Basilicata rappresenta ad oggi l’87% della produzione totale italiana di petrolio in terraferma, pari a 85.000 barili di petrolio al giorno, con una produzione massima autorizzata di 104.000 barili al giorno di petrolio, in base a un accordo del 1998 tra Basilicata e Eni. Gli investimenti complessivi dei petrolieri in Val d’Agri dall’inizio dell’attività negli anni ’80 fino ad oggi ammontano a circa 3 miliardi di euro per 340 milioni di barili. L’oro nero del Belpaese ha attirato qualche compagnia estera, sia minerarie che di servizio. Da quando il giacimento della val d’agri è in produzione, l’Eni ha versato a vari comuni, alla Regione Basilicata – soprattutto – e allo Stato circa 1,4 miliardi di euro di royalties. Parliamo del periodo 1998 – 2014. Nel 2015 il gettito delle royalties alla Regione Basilicata è stato pari a 142.807.164,76 milioni di euro. A questi soldi vanno aggiunti i fondi europei che solo per il periodo 2007 – 2013 hanno ammontato a 2,2 miliardi. E così la Basilicata è tornata, nonostante il petrolio, ad essere obiettivo 1 tra le aree più depresse d’Europa.
Tratto da Divenire (Novembre 2013, Maggio 2013, Settembre 2011)
POZZI TOTALI E NUOVE ISTANZE
Ad oggi (dato relativo al 31.03.2018 sito UNMIG) l’attività estrattiva riguarda un totale di 19 concessioni di coltivazione; 6 permessi di ricerca; 1 concessione di stoccaggio; 17 istanze di permesso presentate. Secondo i dati dell’ UNMIG, struttura alle dipendenze del Ministero dello Sviluppo Economico, in Basilicata vi sono 487 pozzi petroliferi perforati in terra ferma (on-shore), molti dei quali su piattaforme realizzate in passato, che attendono di essere bonificate, impattando pesantemente sulla qualità ambientale, sulla salute delle comunità e delle attività silvo-agro-alimentari. Di questi, 271 si trovano in provincia di Matera e 216 in provincia di Potenza. Ad oggi i pozzi in produzione sono circa 40. Tale numero si triplica se si considerano i pozzi perforati attualmente, non eroganti per vari motivi (in fase di perforazione, non allacciati, destinati allo stoccaggio, sterili e incidentati) . La maggior parte dei pozzi in Basilicata sono classificati “Olio” e “Olio e Gas”; di questi 487 pozzi, alcuni risultano “Sterili”, tra cui il permesso di Ricerca Petrolifero San Fele 001, perforato e abbandonato dalla compagnia petrolifera; 5 pozzi risultano “incidentati ed abbandonati”: Monte Grosso 001, Policoro 001, Volturino od BIS e ben due nell’area del Marmo-Melandro: Vallauria 001, nel comune di Savoia di Lucania, e Monte Li Foy 001, nel Comune di Picerno, quest’ultimo della Enterprise oil Exploration, ricadente nel “Permesso di Ricerca petrolifera Baragiano”. Esso raggiunse una profondità notevole, quasi a toccare i 5000 metri dei complessivi 6600 metri di profondità ipotizzati. Il pozzo fu dichiarato incidentato e il permesso di ricerca sospeso. Diverse sono state le nuove istanze presentate in Basilicata, che vanno dalla fragilissima area del Marmo-Platano-Melandro, cratere del sisma del 1980, ricca di acquiferi carsici e numerosissime aziende agricole, a quella del Vulture-Melfese, patria dell’Aglianico del Vulture, dell’olio e del marroncino. Dal permesso “ Frusci” al permesso “Anzi”, ai permessi denominati “Satriano di Lucania”, “San Fele”, “Monte Li Foi” , “La Bicocca”, “Muro Lucano”, “Monte Cavallo”, “La Cerasa”, “Pignola”, “Masseria la Rocca”, “Oliveto Lucano”, “Tempa la Petrosa”, “Palazzo S. Gervaso”, “Grotte del salice”, “ Il Perito”, “La Capriola”.
L’Area del Marmo-Platano-Melandro è interessata da alcuni progetti collegati all’Istanza di ricerca e prospezione di idrocarburi denominata “MURO LUCANO”, che interessa i comuni di Muro Lucano, Castelgrande, San Fele, Bella, Baragiano, Balvano, Pescopagano e Laviano, per una estensione di 111,9 Kmq; all’Istanza denominata “MONTE LI FOY”, che interessa i comuni di Baragiano, Picerno, Pignola, Potenza, Ruoti, Savoia di Lucania e Tito, per una estensione di 140,7 kmq; all’Istanza denominata “S. FELE”, che interessa i comuni di Muro Lucano, Atella, Bella, S. Fele, Filiano e Ruoti, per una estensione di 142,9 kmq . Attualmente le compagnie petrolifere interessate alle tre istanze ricadenti nel Marmo-Platano-Melandro, a seguito delle modifiche legislative introdotte con l’art. 38 del decreto cosiddetto “Sblocca Italia”, successivamente convertito nella legge 164/2014, hanno presentato istanza di VIA direttamente al Ministero competente.
Tratto dal sito UNMIG
LA BIODIVERSITA' NELLE RIPE
Lungo la via delle Ripe di Muro Lucano è rappresentato un importante Ecosistema che si estrinseca tra pareti rocciose, cime e crinali ricoperti di piccoli arbusti, una alta valle stretta, lungo la quale scorre il torrente Rescio, in spazi così ridotti da determinare una grande varietà di condizioni microclimatiche, molto propizia alla biodiversità. Moltissime infatti sono le specie animali che hanno scelto questo luogo come proprio Habitat specializzandosi in precise nicchie ecologiche. Iniziando a percorrere il Sentiero dalla parte dell’acropoli Murese, il visitatore si troverà ad un’altezza superiore i 600 m slm con uno scenario di rocce calcaree frammentate che spesso formano piccole vette sulle quali è stata censita la presenza di Poiane, Gheppi e persino un esemplare di Falco pellegrino. E’ possibile ammirare una folta colonia di Rondoni Comuni affiancata da qualche esemplare di Rondone Pallido “Apus Pallido” specie segnalata da poco in Basilicata che grazie all’ampia disponibilità di anfratti rocciosi e piccole cavità presenti nelle Ripe ha trovato un’habitat di elezione per la nidificazione e numerosi Balestrucci. Lungo la strada scavata nella roccia si rileva la presenza di moltissime specie floristiche di piccola taglia: Cipollotto, Equiseto selvatico, Ambretta di lucania, bocche di leone” Antirrhium majus” di diversa varietà e alcune presentano insolite infiorescenze che non superano i 2mm. Sulle pareti verticali si trovano numerose piante di “Campanula fragilis” e in piccoli angoli meno soleggiati sono state censite due diverse varietà di Garofani selvatici “ Dianthos rupicola” differenti per tonalità da quelle rinvenute nell’area di Rionero. La parte rocciosa esposta a Nord fa rilevare la presenza di muschi e licheni e di felci rappresentate dalle specie “Polipodium glycyrrhize” e Adiantum hispidulum”. Numerosi sono i Rettili (vipera, biacco, natrice dal collare, lucertole) tanto da attirare la presenza di un grande rapace, inconfondibile per le sue dimensioni e per la colorazione marrone-biancastra: Il Biancone “ Circaetus Gallicus” avvistato nel luglio 2018 mentre aveva appena catturato un serpente e veniva infastidito da un Nibbio Imperiale, anch’esso abbondantemente presente nel territorio; nell’inverno 2017 sono stati contati circa 170 esemplari che hanno scelto l’area a valle come dormitorio invernale.
Risalendo il Torrente Rescio verso Nord si giunge in zone impervie con imponenti pareti rocciose calcaree ricoperte nella sommità da fitta vegetazione di arbusti, habitat ideale per il Corvo Imperiale “ Corvus Corax” che nedifica nell’area da diversi anni e soprattutto per la Cicogna Nera “Ciconia nigra” la cui presenza in Italia è stata rilevata intorno agli anni 90 e ad oggi è stimato essere presente nella nostra Penisola con una popolazione che non supera le 15 coppie. E’ una specie monotipica appartenente alla famiglia delle Ciconnidae, i componenti di questa famiglia sono uccelli di grandi dimensioni. La lunghezza totale è compresa tra 95 e 100 cm, l’apertura alare tra 145 e 155 cm; i sessi sono simili. L’adulto ha testa, petto e parti superiori neri, con riflessi tendenti al verde; le ascellari, il petto, l’addome, il sottocoda sono bianchi; Il becco, le zampe e le zone nude sono di colore rosso intenso.. Il giovane ha una livrea meno evidente. Il suo habitat preferito è costituito da zone forestali, in prossimità di fiumi e zone umide, lontano da aree urbanizzate. Si ciba prevalentemente di pesci, di anfibi, insetti, piccoli mammiferi, uccelli, rettili e crostacei, cibo di cui il Sentiero delle Ripe abbonda. La Cigogna nera censita nelle Ripe, come le altre che giungono in Italia, arriva nei mesi di marzo-aprile per poi ripartire in Settembre, seppure un esemplare giovane ha trascorso l’inverno 2017-2018 nell’area del Marmo-Platano, diversi sono stati gli avvistamenti. Questo comportamento è strano ma non insolito. Il Nido è costituito da un grosso intreccio di rami che può raggiungere un diametro di quasi 2 m, in anfratti o cenge su pareti rocciose. Il successo riproduttivo delle cicogne presenti nelle Ripe è stato nel 2017 di 4 pulli e nel 2018 di 2 pulli. Avvisato anche nel 2018 un bellissimo esemplare di Coturnice, Ordine: Galliformes Famiglia: Phasianidae. La vecchia Europa è l’unico luogo dove vive e nidifica. Lunga circa 35 cm per un’apertura alare nell’ordine del mezzo metro, questa specie presenta un piumaggio particolarmente ricco di tonalità cromatiche, come quello di altri Galliformi, mentre dorso e ventre appaiono grigi, le ali presentano una colorazione bruno-rossiccia, con striature nere. Vistoso e inconfondibile, poi, è l’“anello” nero sul collo, che prosegue sul capo, sopra gli occhi, per congiungersi in prossimità del becco. Anticamente diffusa anche in Europa centrale, la Coturnice attualmente abita l’Italia e i Balcani. Tendenzialmente stanziale, nel nostro Paese è presente sulle Alpi, nell’Appennino centrale e – con popolazioni ulteriormente frammentate tra loro – in quello meridionale. Amante dei pendii assolati punteggiati di cespugli e rada vegetazione, la Coturnice ama stare in branco durante la stagione invernale, mentre all’arrivo della primavera le coppie si isolano. Le femmine depongono fino a 15 uova in luoghi protetti, solitamente cespugli o anfratti nella roccia, mentre i pulcini vengono alimentati prevalentemente con gemme, bacche, germogli – in pratica tutta la vegetazione commestibile che abbonda nelle Ripe– oltre a insetti e larve. Scendendo verso il Ponte Romanico lo scenario cambia, in prossimità delle piccole sponde rocciose del Rescio è possibile notare una folta copertura arborea, per lo più costituita da salici, man mano che si risale verso i mulini, la temperatura subisce un’escursione di circa 4-5 gradi, in quanto la presenza di alberi di alto fusto, e la presenza di sorgenti di acqua favorisce un microclima umido e ombreggiato. Sono presenti moltissimi alberi di sambuco, in prossimità di un piccolo corso d’acqua è possibile notare numerose piante di Sedano d’acqua, di felci e di rane appenniniche e granchi di acqua dolce “Potamon fluviatile”. Negli ultimi anni le popolazioni di granchi di acqua dolce stanno subendo una notevole riduzione, si ciba di insetti, larve, avanotti, di alghe e muschi. Avvistato anche un esemplare di Salamandra Pezzata, una sorta di lucertolina acquatica nera con grosse macchie gialle. Un altro habitat che caratterizza le Ripe è la parte boschiva costituita da querce, agrifogli, tassi, arbusti vari dove è possibile trovare orchidee spontanee come Oprhys lutea e incubacea e intravedere ghiandaie, ricci, volpi e altri mammiferi di piccola taglia tipici degli habitat collinari. Notevole lungo tutto il percorso è la presenza di variopinti e variegati lepidotteri, ossia farfalle e falene.
Tratto da Appunti di Carmine Sarcinella (Biologo)